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U2 - “360° European Tour 2010“: Torino

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06/08/2010 U2 a Torino, concerto leggenda
per i santi rockettari


Bono alla "Stampa": non mollate la battaglia sulla riduzione del debito in Africa

Un po' istrione un po' santo, marito devoto e sciupafemmine, rockstar in odore di Nobel, Bono anche ieri è riuscito a calamitare le folle come nessun altro nella nostra epoca.
Ha carisma, è un comunicatore micidiale, con una voce duttile che sembra nata per cantare le elevazioni dello spirito e i tormenti della carne (compreso il mal di schiena che lo ha atterrato per due mesi). Ma mettiamo in conto anche le contraddizioni eclatanti del suo carattere, che lo rendono così simile alla maggior parte degli umani. Il valore aggiunto è la band. Ogni buon ragazzo di buon senso che sia rimasto al mondo, esige di essere devoto di una band, perché insieme è meglio. Con un ottimo chitarrista come The Edge, in gran spolvero, e due vecchi ragazzi di mestiere macinanti il ritmo, come Clayton il bassista (ieri tutto in bianco) e Mullen il batterista (gli U2 si battezzarono nella cucina di sua madre, a Dublino), la formazione non perde appeal. Ieri notte è stato un evento: perché segnava il ritorno dopo due mesi di sosta forzata per l'operazione dell'ernia del disco di Bono a fine maggio, che ha reso obbligatoria la cancellazione del tour americano.
Bono ce l'ha fatta. Non saltellante come al solito però, nel suo completo di pelle nera; qualche corsetta, ma la forma completa non è ancora riconquistata; ci ha guadagnato il canto, a volte più accurato e accorato, anche se alla fine delle due ore e mezza di musica il Nostro appariva provato e non c'è stato ritorno per ulteriori bis: «Andiamo a casa anche noi», ha detto salutando con voce stanca. In fondo, i 50 sono scoccati, e i 49 arriveranno domani per The Edge, festeggiato all'inizio con ampi «Happy Birthday». Bono ha definito dal palco gli U2 una «business family». L'immensa passerella rotonda è rimasta spesso inutilizzata. Ha prevalso lo spettacolo delle canzoni. Un occhio al cielo, uno alla discoteca. Il sogno universale, che fa aprire il concerto con Space Oddity di David Bowie (e chiude Rocket Man di Elton John), per esaltare subito dopo la gioia pagana di Beautiful Day, e poi in omaggio al pubblico entusiasta Magnificent, una delle poche dell'ultimo album No Line on the Horizon, ancora in attesa - per via di vendite lente - di essere valorizzato.
La gigantesca macchina tecnologica è la più grande e sofisticata mai concepita, con lo schermo a cono che si alza e si abbassa fino al palco disegnando un altro santo, Desmond Tutu che parla dei poveri dell'Africa da salvare: l'Africa è sempre nel cuore di Bono, è dell'Africa che parla, prima del concerto, in un salottino dove incontra il fondatore di Microsoft Paul Allen, Alex Del Piero e il direttore della Stampa Mario Calabresi per ringraziarlo del numero speciale sull'Africa: «Non dovete mollare nella battaglia sulla riduzione del debito del Terzo Mondo - dice -, continuate a sostenere la nostra organizzazione. Avete fatto una delle migliori edizioni speciali sull'Africa che abbia mai visto».
Bruttarello forte, irreale, il ragnone verdino punteggiato di bottoni arancione, allarga i quattro tentacoli sul prato. Un prodigio tecnologico, nato per permettere la visuale completa a chi sta sul retropalco. Accontentati così tutti, chi ha pagato 34,50 euro in piccionaia e chi per 287 euro sta nel pit (e aveva accolto la band sventolando bandierine colorate che disegnavano quella irlandese).
Il concerto è una doccia scozzese di atmosfere. C'è la tensione spirituale prima maniera, con Mysterious Ways e I Still Haven't Found What I'M Looking For; ci sono due dei tre inediti annunciati: la insinuante ballad voce e chitarra North Star e il rock Glastonbury sul celebre festival che Bono, immobile a letto, ha dovuto snobbare. Deliziosa suona l'antibellica Miss Sarajevo scritta con Brian Eno per il Pavarotti&Friends: del tenore Bono canta la parte in italiano, con tanto di acuto.
Ma ecco anche MLK, una ninnananna del 1984 per Martin Luther King, che estende il suo omaggio al premio Nobel birmano Aung San Suu Kyi. Sunday Bloody Sunday non è più dedicata alla maledetta domenica irlandese di Belfast: le scritte arabe, un verde diffuso sulle immagini, rimandano al dramma di Teheran. L'ispirata One che dà il nome all'organizzazione umanitaria di Bono, chiude il discorso di Tutu sul riscatto del debito e sulle chances dei paesi africani: Bono dedica l'ultimo brano Moment of Surrender a Bill Gates che «è un genio e ha dato tanto ai poveri». Si chiude così, con un pensiero virtuoso, un concerto che è durato, per i fans, una settimana di prove spese fuori dallo stadio ad ascoltare.

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U2 360° CHANNEL












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